nonnecessariamente

venerdì 25 gennaio 2008

06.42

Suona alle sei e quarantadue. La spengo.
C'è silenzio. Sono comodo, al caldo. Warm in inglese. Warm.
Posso rimanere due minuti a letto per cui ci rimango.
Diffido delle immagini che riprendono a scorrere, diffido.
Conto fino a quattro e mi alzo, al buio. Cerco le infradito di plastica.
Accendo la lucina sopra al letto, guardo l'ora sono le sette meno un quarto. Suoni lontani.
Mi spoglio, infilo la bancheria nel borsone da lavare, mi metto l'accappatoio.
Nella tasca sinistra metto il bagnoschiuma e lo shampoo, in quella di destra la card per rientrare in camera.
Esco in corridoio.
Oggi è il turno della doccia in fondo a sinistra, quella con le mattonelle marroni che hanno un'aria calda.
Ci arrivo al buio, c'è la luce notturna delle scale. La gente sta ancora dormendo.
Entro, si attiva la luce automatica, chiudo la porta a chiave, appendo l'accappatoio da cui tolgo bagnoschiuma e shampoo, li appoggio nel cestello metallico di fianco alla doccia.
Regolo la manopola e poi la schiaccio. Scende un bel getto ricco.
Tengo un piede sotto l'acqua per adattarmi.
Aspetto che la doccia si spenga.
Schiaccio di nuovo e mi butto sotto cantando "dead bodies everywhere" mentre mi sciacquo.
Non conosco bene il testo "haitainsaupaitaisnaiau I'm bleeding from the inside to the armageddon outside".
Dopo dieci secondi si spegne il getto.
Inizio a insaponarmi partendo dalla testa perchè se partissi dal culo dopo mi sembrerebbe poco igienico passare alla faccia. Mi insapono tutto poi schiaccio di nuovo.
Passano otto secondi virtuali, schiaccio ancora.
Altri cinque, mi passo le mani in testa e sotto le ascelle, stavolta schiaccio col gomito. Rimango ad aspettare che si spenga.
Mi scrollo come un cane, mi avvolgo nell'accappatoio.
Ho dimenticato di sciacquare il bagnoschiuma che è tutto insaponato, non ho fatto lo shampoo. Alzo una manica dell'accappatoio e schiaccio il pulsante dell'acqua, bagno il bagnoschiuma. Me lo infilo di nuovo nella tasca destra.
Apro la porta. So che farà freddo.
Cammino in corridoio strisciando le ciabatte per asciugarle.
Passo la card nella fessura. Luce rossa.
La passo meglio facendola aderire tutta dall'alto in basso, come un portiere.
Luce verde.
Entro, guardo l'ora. Sette e zero uno. Bene, in tempo.
Siedo sul letto, guardo in basso.
Asciugo i piedi poi li appoggio per terra perchè le ciabatte sono ancora bagnate.
Troppe maglie. O troppo poche.
Vado con l'accappatoio aperto a preparare il Caffè.
Sto chino sul lavello. Uso il metodo di Andre della montagnola. Ne esce sempre un po' perchè il cucchiaio è umido e il caffè si incolla, poi quando si stacca sborda e finisce sul lavandino. Vaffanculo.
Richiudo il pacchetto con la striscia di scotch. Spero che non sia questa la volta in cui non appiccica più, magari è la prossima, sarebbe meglio se fosse la prossima, si chiude.
La prossima volta mi darò del coglione perchè sarebbe stato meglio se si fosse staccato questa volta.
Stringo la moka forte che è meglio. Metto la piastra per terra, se la faccio scaldare sul frigo magari si rovina. Non devo prenderci contro.
Attacco l'accappatoio alla gruccia appesa sopra il termo, così domattina è caldo.
Mi vesto come avevo progettato ieri.
Non guardo l'ora voglio mangiare in pace.
Tasto la frutta per sentire cosa c'è di troppo maturo. Niente. Bene.
Ho tempo per pelare una pera.
Ci vuole del tempo per farlo bene. Dall'alto in basso. A striscie sottili così ci rimane più polpa. Svito il picciuolo in senso orario. La taglio tra i due vertici. Dipende tutto dal primo taglio per fare degli spicchi normali. Faccio leva con il coltello. Il primo spicchio è sempre quello più duro da staccare, lascio che sgoccioli nel pattume, poubelle in francese. La poubelle.
Guardo compiaciuto la fetta che si stacca dal filetto centrale senza lasciarci polpa, la mangio. Mangia e bevi. Mangiaebevi. Il pacchetto verde con l'albero di frutta. Alberto Castagna. I baffi di Alberto Castagna. Lui è morto.
Sale il caffè.
La tipa della reception ha detto che la gente che non è abituata a usare le piastre se trompe parce que pensano che sia sufficiente staccare la spina per spegnerla. Invece poi gli va di su la roba. Coglioni.
Lascio il caffè a bollire sulla piastra.
Finisco la pera. In fretta.
Med ha detto che quando mangia le pere poi gli viene lo stricco. A me no. Se mi dovesse capitare ora sarebbe la fine.
Mi sciacquo le mani con l'acqua fredda. Mi tira la pelle. Glisolid. Non adesso.
Guardo l'ora sette e trentacinque merda. Devo bere il caffè e lavarmi i denti.
Essere fuori almeno per le sette e trentotto dell'orologio della reception.
Verso e bevo. Troppo caldo, troppo in fretta, mi sale un ondata di calore. Mi irrita la pelle contro la maglia di lana, era meglio la felpa di cotone.
Lavo i denti. Tre minuti ha detto la Mery, magari stasera.
Abbottono il cappotto, devo prendere la borsa e metterci dentro la roba. Il portafoglio. La card della camera.
Esco.
La porta si chiude, fa clack.
Si è chiusa bene.
Scendo le scale, ho l'aspetto da universitario.
Sette e quasi quaranta dell'orologio della reception. Accetabile.
Eric mi saluta. Mi chiede ça va? Devo dargli la mano perchè sennò sembro scortese.
Mi allungo sopra al bancone e gli stringo la mano. Forte. A qualcuno piaceva la gente che stringe la mano forte.
Oui ça va et toi? Excuse moi mais je dois partir je suis super retard. Au revoir ciao.
Esco.
C'è bagnato per terra.
A Lione sembra che piova solo di notte.
Dai tetti cadono delle goccie. Sto attaccato al collo del cappotto, se me ne finisse una in testa o giù per il collo sarebbe fastidioso. Con la maglia di lana.
Giro l'angolo, il bar. La macelleria Hallal chiusa. Il forno aperto. Profumo.
Attraverso la strada, poi devo attraversare di nuovo, è rosso. Non ci sono macchine allora attraverso.
All'ingresso della metro c'è sempre la stessa ragazza mora riccia vestita di giallo con un cappellino verde.
Ti da Metro ma sembra che te lo imponga. Che le faresti un torto se non lo prendessi.
Stavolta lo prendo. Scendo le scale, lo butto nel pattume.
Per fortuna c'è gente.
Vuol dire che l'altra è già passata da un po'.
Aspetto.
Di solito a quest'ora ce n'è una ogni tre quattro minuti. Sono efficienti qui.
Questa non arriva.
Arriva prima dall'altra parte. Non c'era da dubitarne.
Guardo a destra verso il tunnel. C'è gente che si sporge per vedere se arriva.
Vuol dire che è in ritardo.
Io non ho problemi anche se è in ritardo.
Per me fa lo stesso. Tanto tutto è uguale.
Uguale.
Finalmente si vedono le luci nel tunnel.
E’ piena di gente.
Non si spostano. Non so dove attaccarmi, mi bilancio sulle gambe.
Tanto alla prossima alcuni scendono.
Charpennes.
C'è una che deve scendere che chiede Pardon. Sembra pressata.
Nessuno dice niente.
Massena.
Foch.
Hotel de ville.
Il grosso della gente scende. Vado a sedermi nell'angolo in fondo che cercano tutti perchè non bisogna spostarsi per far passare gli altri.
Suona il segnale chiusura porte.
Cordeliers.
Bellecour.
Stanno bene le panchine verdi con le mattonelle ocra.
Ampère Victor Hugo.
Perrache, Montrochet.
Terminus. Tous les voyageurs descendent de la voiture.
Correspondance tram T1 direction Montrochet ou La Doie IUT Fessyne.
Correspondance tram T2 direction Vaux en velin La Soie.
Scendo, c'è un tram à l'approche.
Sarà il T2. La gente si affretta, corre.
Io cammino, per me è uguale.
E'uguale.
Mi avvicino e vedo che è il T2 davvero.
L'orologio dei Tramway segna le sette e cinquantadue.
Il T1 non posso prenderlo.
A piedi impiego troppo e ho le scarpe che mi fanno male.
Non parte perchè ci sono gli ultimi passeggeri che bloccano la chiusura delle porte.
Faccio due passi più in fretta e riesco a salire in tempo.
Ma solo due passi.
Non timbro perchè tanto è una cosa stupida se ho l'abbonamento. Non capisco le persone che lo fanno. Sembra che mi guardino male.
Passiamo sul ponte.
Le luci riflesse sul fiume.
Il fiume.
Arriviamo in un attimo. Scendo. In mezzo agli studenti. Dobbiamo attraversare la strada ma c'è rosso e ci sono le macchine che passano. Alcuni si buttano.
Io aspetto il verde perchè tanto fa lo stesso.
Entro nel cancello del Centre Berthelot. Attraverso il cortile. Guardo l'orologio in alto.
Le otto meno uno.
C'è gente che corricchia. Io li guardo mentre andiamo nella stessa direzione.
Esco da dietro il Batiment, sono su una strada vuota vicino alla sopraelevata della ferrovia.
Si sentono stridere i vagoni merci dell'Evergreen.
Entro nella hall dell'edificio L. Ho lezione nel Grand Amphi.
C'è un gruppetto di studenti che entra con me. Bene.
Il prof ha già iniziato a fare lezione. Ci richiama ma non ci faccio caso. Tanto cosa cambia.
Appoggia il microfono e va a chiudere la porta a chiave.
Riprende a fare lezione.
Dei tizi devono essere entrati dalla porta che c'è in alto perchè si ferma di nuovo e richiama anche loro.
Non mi sono accorto di essermi seduto dietro il trio delle tipe che prendono appunti al computer.
Fanno un rumore stupido.
Ce n'è una in particolare che sta china sulla tastiera e scrive solo usando gli indici. Lei fa più rumore delle altre.
Che schiave, penso.


Faser Lioton